“Lascia tutta nelle mani del Signore la cura di te; Egli sa ciò che fa, né si può fare meglio che lasciarlo fare”.
Con il senno di poi, la frase di San Giuseppe da Copertino sembra essere un po’ il filo conduttore non solo dell’ultimo, ma di tutti gli incontri già svolti con il gruppo di discernimento vocazionale “San Damiano”. I temi e le catechesi in cui si sono articolati i vari weekend, infatti, sembravano chiarire e consolidare ciò che si stava muovendo dentro di me, la Provvidenza aveva disposto probabilmente così.
Nel mese che precedeva la data del terzo appuntamento, sono stato come avvolto da una sensazione di attesa, analoga a quando d’inverno si percepisce la vita che è presente sotto il terreno coperto dalla neve, neve destinata a sciogliersi e a far emergere ciò che aveva custodito – anziché fatto morire – obbligando a fermarsi un po’ per attendere il tempo giusto della primavera. Questo mio attendere era colmo della voce di Dio: parlava nella quotidianità e parlava attraverso anche il suo silenzio: il silenzio di Dio, più eloquente di qualsiasi parola umana. Sono sicuro che una sensazione comune sia stata anche per gli altri “compagni di viaggio” del gruppo. In tutti sembrava di percepire un tumulto di sentimenti vivi per il fatto provare a scoprire insieme cosa il Signore ha in serbo per noi.
I precedenti incontri con i frati conventuali presso la Basilica di San Giuseppe da Copertino ad Osimo, infatti, mi avevano introdotto in uno spazio in cui si potesse far luce su alcuni aspetti che possono essere utili per riconoscere, con la guida dei “fratelli maggiori”, a quale storia Dio ci stia chiamando, “a quale gioia”. Ci sono dei segni con cui Dio ci parla, anche molto concreti, riconoscibili ad esempio confrontandosi con l’esperienza comune degli uomini di fede che hanno camminato prima di noi: la storia di Abramo, “padre della fede”, quella di Francesco... Tra i segni uno, fondamentale, è la gioia. Non una contentezza umana, un’emozione evanescente, ma un sentimento che ci pervade quando riconosciamo che sta passando il Signore: una nota è percepita dal cuore, si sa che è qualcosa di diverso da tutto, che è il Signore perché se ne sente il “profumo” e in noi tutto dice: “è Lui!”. C’è “un senso di pienezza, un senso di vita autentica”, non si tratta di un sogno umano. Questa è stata per me una prima grande indicazione per seguire la strada che il Signore sta delineando, qualsiasi essa dovrà essere.
Nel mio cuore infatti già era scoccata una scintilla, un evento, in cui ho sentito che era “il Signore che passava”, che mi chiamava a qualcosa che mi avrebbe mostrato restando in ascolto. Da solo però, senza il confronto con un fratello maggiore che mi avesse aiutato a discernere, conviveva il timore di inseguire un invito sì autentico, ma poggiando i passi in maniera incerta. Nessuno si salva da solo. La storia degli altri, inoltre, può contribuire a illuminare la nostra. Quando nella riflessione sulla “Leggenda dei Tre Compagni” ho letto che Francesco, dopo aver ascoltato l’invito a riparare la Casa di Dio, “sentì nell’anima che era stato veramente il Crocifisso a rivolgergli il messaggio” (1411) ho pensato che era proprio quello allora il modo di riconoscere Dio: tramite un evento, una lettura, un incontro, ma sempre riconoscendo nel cuore che è Dio. C’è un’impronta unica, un’intimità più intima a noi di noi stessi, un sentirsi anche immediatamente interiormente nel posto giusto. Le tracce suggerite nei vari incontri hanno come costruito un’impalcatura che sorregge la mia ricerca.
Dicevo che i segni possono essere anche molto concreti: sebbene quello appena indicato per me è forse più concreto di un segno materiale, è vero anche che Dio parla attraverso anche la nostra condizione e lo stato in cui viviamo. Non come lo intende però il mondo: ciò che giudica triste può essere una benedizione di Dio che sta appena sbocciando, mentre al contrario ciò che il mondo giudica felice può essere una storia che fa ripiegare su sé stessi. Abramo non aveva figli, eppure Dio da lui trae una discendenza che accoglierà addirittura il Salvatore del mondo. Chi avrebbe detto che uno, che sembrava avviarsi a non avere neanche a chi lasciare in eredità gli averi, potesse ritrovarsi una tale benedizione? Fu preso da Dio, chiamato in mezzo ad altri, incontrò Dio in mezzo a quella storia rotta.
E Francesco sembrava al contrario avere tutto, eppure non conoscerà mai tanta gioia come quando si libera di ogni peso che lo distanzi tra lui e la storia d’amore con Gesù. “D’ora in poi, – esclamò – potrò dire liberamente: Padre nostro (…) Così, andrò nudo incontro al Signore”. Infatti la paura, le preoccupazioni ci bloccano. Percepirle è normale, ma nel cuore si sperimenta il desiderio di abbandonarsi completamente il Signore.
Oltre i segni nel cuore dunque ci sono anche i segni nella nostra storia personale. Una storia che il mondo percepisce come sconfitta ci può portare a cercare Dio “che si fa trovare” e, voltandoci indietro, vediamo che quelle vicende erano la preparazione per formare il nostro cuore ad essere attenti a Lui, a porgere l’orecchio – i cocci rotti saranno poi addirittura trasformati in risorsa per fare il bene, perché come dice la parabola, Dio raccoglie anche dove non ha seminato. Anche dove il male ha devastato e rapinato, Dio entra e ne trae il bene e restituisce ciò che non osavamo immaginare. Nessuna storia “rotta” con Dio resta rotta; non solo: nessuna storia “riparata” con Dio torna come prima, ma diventa ancora meglio di come era prima che venisse la tempesta. Qualcos’altro di nuovo, di inimmaginabile.
Dopo aver contemplato “come Dio parla al nostro cuore” nel primo ciclo di incontri (“Benedetto colui che decide nel suo cuore il santo viaggio”, Sal 83), abbiamo riflettuto sull’abbandonarsi in Dio una volta ascoltata la sua voce (“Degno di fede è colui che vi chiama: Egli farà tutto questo”) e poi come sia necessario tagliare con qualcosa per gustare pienamente la vita con il Signore. Ogni vocazione, non solo quella religiosa, richiede di separarsi da qualcosa, per poi magari ritrovare tutto in una misura traboccante. Ma è necessaria la libertà dai vincoli per seguire Dio felicemente, altrimenti ci si condannerà ad una situazione di ripiego, a qualcosa che è contrario alla libertà dei figli di Dio. È una scelta che si riesce a compiere accompagnati dalla preghiera.
Ebbene queste riflessioni erano come un sigillo che autenticava quello che stavo vivendo, indipendentemente da quale sarà l’attuazione concreta del “sogno di Dio”, che cerchiamo di scoprire insieme. Era come se il Signore mi dicesse: “Coraggio, sono io!”. In questo tempo ho infatti vissuto situazioni speciali al lavoro, in famiglia, nelle relazioni e negli incontri che la Provvidenza chiaramente stava disponendo per consolidare ciò a cui mi aveva condotto e preparami ad una nuova tappa. Come se, avvicinandosi la bella stagione, ciò che stava crescendo lentamente, ora iniziasse a delinearsi con maggior intensità e il senso di molti accadimenti nella mia vita fosse più nitido. All’inizio di un invito, Dio parla chiaro. Poi subentreranno momenti di prova, di buio e poi magari ancora luce, ma solitamente all’inizio il Signore concede una grande luce, il ricordo della quale sarà la forza – insieme al Suo aiuto – che ci farà perseverare nei momenti di prova che si alterneranno, ci fortificheranno e, paradossalmente, saranno garanzia della solidità di quello che stiamo vivendo, invece della sua negazione.
Ovviamente non sono giunto alla fine del percorso, ma già guardandomi osservo una bella strada percorsa.
Un fatto che mi ha piacevolmente sorpreso e che ho sperimentato nello stare insieme con la comunità francescana è stato il sentire – soprattutto nei momenti di preghiera comune e nell’attività quotidiana come riordinare la tavola – la presenza del Signore come molto concreta, come dovevano sentirla i discepoli vivendo con Lui. Sentivo proprio di “vivere con Lui”, nella stessa casa, insieme agli altri fratelli. Ricordavo che nei Vangeli Gesù sceglie gli apostoli in modo “che stessero con Lui”. La prima e più fondamentale esperienza di discepolato con Gesù è stare insieme, non solo per imparare a fare come Lui, non solo per amarci come Lui ci ha amato, come ci ha detto: ma anche perché in fondo, stare con Lui è già possedere la perla preziosa, è già il tesoro nel campo che uno si dà da fare per comprare. È quello che ci era promesso “poi” che ci viene dato...subito.
Ed ecco che nel camminare insieme paradossalmente ritroviamo il nostro “nome nuovo che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve” (Ap 2,17).
Nichols Rocchetti